Dall’impulso teorico di Widmann, dalle ricerche sul campo di Gastaldo, dal lavoro clinico di numerosi colleghi, dall’approfondimento di allievi ancora più numerosi, da vent’anni di convegni e seminari, da pubblicazioni oramai copiose come le monografie dei convegni o l’European Journal of Scientiufic and Bionomic Studies emerge un profilo alquanto definito della psicoterapia autogena e del ruolo che il training autogeno occupa al suo interno.
La psicoterapia autogena o bionomica è una psicoterapia psicodinamica e analitica, che si sviluppa all’interno di una relazione transferale e contro transferale con colloqui, esercizi psicofgisiologici di rilassamento ed esperienze immaginative a valenza simbolica. Non è una terapia sintomatologica né una psicoterapia breve, sebbene non escluda il trattamento di sintomi e la possibilità di risolversi in un arco temporale anche breve.
Il training autogeno è una tecnica concentrativa molto specifica, che viene opportunamente inserita nella sequenza dei colloqui e nel contesto della relazione terapeutica e viene realizzata esclusivamente secondo le modalità fissate da Schultz, con espressa esclusione di forme suggestive e di induzione diretta del rilassamento. Nella specifica e corretta applicazione del training la la psicoterapia autogena vuole essere rispettosa del principio individuativo.
Gli esercizi del training autogeno, più che una tecnica di rilassamento costituiscono una pratica autenticamente immaginale, la più prossima all’immaginazione attiva di Jung. I vissuti di calma e distensione che li accompagnano non sono obiettivi terapeutici primari, ma epifenomeni di uno stato psicofisico funzionale all’attivazione dell’immaginario e di processi autopoietici (autogeni) dell’organismo. In questo senso la psicoterapia autogena è una psicoterapia a fondamento immaginativo.
L’attivazione dell’immaginario autogeno dà luogo a esperienze espressamente simboliche, a prodotti di sintesi in cui la psiche coniuga (syn-ballein) aspetti antinomici e in modo specifico le antinomie inerenti alla separazione (dia-ballein) tra inconscio e coscienza. La psicoterapia autogena è, dunque, una psicoterapia a fondamento simbolico, ma non è compulsivamente interpretativa, perché intende il simbolo come realtà da vivere e non come una rappresentazione da interpretare.
Gli esercizi del training autogeno sono esperienze simboliche sollecitate e realizzate grazie a modalità esecutive alquanto codificate. La specificità del training autogeno, però, non consiste nella routine di esecuzione, ma nella ritualità a valenza terapeutica, nel senso antropologico e psicdinamico che uno dei “convegni di Ravenna” contribuì a cogliere nel rito. La psicoterapia autogena contempla pratiche da realizzare ed esercizi da eseguire, ma non per questo è una psicoterapia pragmatica; la ritualità delle sue tecniche è funzionale allo sviluppo della vita simbolica.
La dimensione simbolica del training autogeno è intesa come spazio a densità psicofisica, in cui “l’organismo si costruisce da sé” (Schultz) e la psiche plasma se stessa attraverso processi autogeni di autopoiesi. Strutture latenti ispirano questi processi: i principi bionomici che sono principi archetipici che normano (nomos) la vita (bios) e la sua evoluzione. La psicoterapia autogena è denominata da Schultz anche psicoterapia bionomica, perché risponde alle leggi archetipiche dell’esistenza e dell’evoluzione individuativa. Come la psicologia analitica, la psicologia bionomica opera all’integrazione della “totalità unitaria” dell’individuo e ha meta ideale la realizzazione della totalità personale. Questo percorso di integrazione è altamente personalizzato e si dipana lungo una personale “via del destino” che segna il decorso individuativo di ciascuno. La psicoterapia autogena, dunque è una psicoterapia dell’individuazione, dove tecniche codificate e rigorose hanno la finalità di favorire nei modi più versatili l’estrinsecazione della soggettività nelle forme più incondizionate.
Nel contesto del personale itinerario individuativo le tecniche autogene hanno ragion d’essere anche dopo la conclusione della psicoterapia e anche in contesti extra-clinici, perché la realizzazione della totalità individuativa non è pertinenza esclusiva della psicoterapia, ma appartiene al processo di trasmutazione dell’uomo.